Nato a Firenze nel 1894 con parto prematuro da padre romagnolo e madre toscana, Magrini arrivò all’AeroClub di Firenze dopo la seconda guerra mondiale, con già alle spalle due conflitti dato che anche durante la Grande Guerra era stato pilota ed istruttore di volo militare.
In AeroClub ricopriva il ruolo di istruttore civile e svolgeva il suo compito utilizzando due piccoli monomotori simili al Piper Cub che vennero regalati all’Aero Club Fiorentino da un facoltoso signore brasiliano. L’aeroclub infatti non aveva più aerei dopo la guerra e solo il gesto di questo personaggio permise lo sviluppo della scuola di volo.
Roberto Benelli , lo conosceva bene e racconta che Magrini aveva un caratterino molto particolare e soprattutto era una persona molto rigida. La sua più grande passione era l’acrobazia aerea, anche se in generale era sempre stato attirato da ogni genere di sport e partecipò anche a diverse gare podistiche a livello nazionale.
Conseguì il primo brevetto di pilota a Venaria Reale il 12 dicembre 1916. E’ di grande rilevanza il fatto che a quel tempo non esistevano aerei con doppi comandi e di conseguenza le lezioni degli istruttori erano solo spiegazioni verbali raccontate a terra. Era compito dell’allievo, successivamente a tali lezioni, dare dimostrazione di riuscire, da solo, ad alzarsi in volo per portare a compimento quanto insegnato dall’istruttore.
Era in sostanza fondamentale avere riflessi pronti e molto coraggio, ma soprattutto avere fermezza ed una certa dose di incoscenza.
Il periodo della prima guerra mondiale
Magrini diventò uno dei piloti che costituivano le prime squadriglie da caccia dell’Aeronautica Militare che nasceva proprio in quegli anni e si fece riconoscere da subito per le sue doti acrobatiche.
Qualche anno dopo ed esattamente il 7 ottobre del 1918, conseguì il brevetto di pilota collaudatore su un aereo SVA, a Ghedi.
Provò inoltre gli aerei “Tornado” che esistevano a quei tempi: Nieuport, Spad, Caudron. Con tutti i risparmi che aveva riuscì addirittura a comprarsi un vecchio Caudron francese, sopravvissuto alla guerra.
L’aeroporto fiorentino a quel tempo era a Campo di Marte e proprio là Magrini si costruì un hangar di legno che avrebbe potuto contenere tre aerei, tra i quali appunto c’era il Caudron acquistato. Con lui c’erano anche diversi piloti decisi a voler continuare a volare e due motoristi.
Tutti insieme dettero vita al primo AeroClub facendo voli turistici, lanci di volantini sulla città ed esibizioni acrobatiche capaci di richiamare l’attenzione di molta gente.
Magrini era un fascista convinto ed a favore del regime organizzò anche dei voli propagandistici come ad esempio il 3 aprile 1921, quando con il suo Caudron ed insieme al ciclista Luigi Pontecchi volarono sui cieli di Firenze, Campi, Poggio a Caiano ed altre zone attorno per lanciare volantini propagandistici.
Purtroppo questo volo si trasformò in tragedia perché, mentre sorvolavano le campagne di Signa, i contadini che si trovavano nei campi, videro il Caudron oscillare tremendamente e poi scendere a picco, avvolto dalle fiamme.
L’aereo si schiantò a contatto con il suolo, ma Magrini ferito riuscì ad uscirne, portando in salvo l’amico, che invece era già morto.
Ancora oggi non è stato facile ricostruire esattamente l’accaduto. Magrini se la cavò con gravi ustioni, Pontecchi invece morì carbonizzato.
Lo stesso Magrini, disperato per la morte dell’amico, non riuscì a capire il motivo dell’incidente, il mito racconta di un colpo di fucile sparato da un contadino contrario al regime…
Lo stadio fiorentino fu testimone di uno dei gesti più famosi di Vasco Magrini.
Nel giorno dell’inaugurazione, il 13 Settembre 1931 con la partita amichevole Fiorentina – Admira Wacker (conclusa 1-0) , il pallone del calcio d’inizio parve fosse piovuto dal cielo. Era stato Magrini a lanciarlo alle squadre già in campo dal suo biplano “Ciabatta” giunto a perpendicolo sulla verticale del campo di gioco
dal libro di Roberto Baldini
Roberto Baldini nel suo libro Firenze il cielo racconta , scrive a proposito di Vasco Magrini:
“Vasco, invece, sembra che sia nato con la tuta di volo. Bisogna avere davvero il cuore che batte come un motore d’aviazione per passare sotto un ponte sull’Arno senza farsi male. E lui riesce a farlo, lasciando l’intera città a bocca aperta, nel novembre 1920. Lo vedono abbassarsi all’improvviso verso il Ponte Sospeso delle Cascine, oggi Ponte della Vittoria. Chissà cos’ha in mente quel matto di un pilota, pensa la gente, forse è in difficoltà, forse ha perso il controllo, precipita…. Ma lui scende a pelo d’acqua, infila l’arco del ponte con precisione millimetrica e dà manetta per risalire. Nessuno l’ha mai fatto prima, nessuno lo farà mai più. Così Magrini racconterà l’impresa ad un giornalista: “Fu per combinazione che io passai sotto il Ponte della Vittoria. L’idea scaturì da un’illustrazione apparsa su un giornale: riproduceva un famoso aviatore che era passato in volo sotto i ponti dell’Hudson. In quella rivista erano riportati i dati e le misure del ponte e dell’apparecchio. A me sembrava che il pilota una grande difficoltà non l’avesse superata, tant’è vero che parlando agli amici lì presenti, dissi che mi sentivo disposto a farlo anch’io. Di apparecchio avevo il vecchio Caudron, piuttosto basso e grande apertura d’ali. Quel giorno mi trovavo in volo su Firenze, in compagnia di un vecchio giornalista fiorentino, Alberto Decia. Questi era un avventuroso, gli piacevano le cose ardite. E per l’appunto, mentre ero in volo, mi trovai davanti agli occhi il ponte delle Cascine. Mi venne spontaneo urlare: “Decia, si passa sotto il ponte!”. E lui: “No, no un’altra volta”. E me lo disse in forma così comica che mi venne proprio voglia di passarci, sotto il ponte. Allora feci una picchiata. Volai dalla città verso le Cascine, feci un dietrofront e, messomi proprio sul pelo dell’acqua, passai sotto. Lì, sotto il ponte, c’erano dei renaioli che stavano scavando, e quindi anche l’ingombro era abbastanza rilevante. Passato dall’altra parte, risalii velocemente. La gente, sorpresa per questo mio passaggio, mi salutò, applaudendo calorosamente e anch’io mi voltai per salutare…”. Stanno ancora applaudendo, a manovra perfettamente riuscita, quando succede qualcosa: “… non avevo fatto i conti con tutti i fili che c’erano da una spalletta all’altra e ci sbattei contro, facendo una capriola e impigliando l’elica. Atterrai in riva al fiume, e tutti coloro corsero credendo che ci fossimo rotti l’osso del collo. Fortunatamente, non ci eravamo fatti niente. Smontammo l’apparecchio e lo riportammo al Campo di Marte.”
Vasco aveva soltanto 26 anni ed era famoso in tutta Firenze.
Ne combinò molte, come per esempio l’atterraggio in una piccolissima radura alle falde del fiume Falterona e poi vicino alle sorgenti del Reno. Atterrò anche sui binari della stazione di Firenze Santa Maria Novella.”